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Il personaggio e la “situazione”. Incontro con l’attore Philippe Duclos

Philippe Duclos è conosciuto come uno degli interpreti di Engrenages (Spiral in Italia), serie di Canal+ nella quale incarna il giudice Roban.
Al cinema ha recitato nei film di Arnaud Desplechin (La Sentinelle, Comment je me suis disputé), Nicole Garcia (Le Fils préféré), Bertrand Tavernier (L’Appat, Laisser-Passer), Jacques Audiard (Un héros très discret), Bruno Podalydès (Dieu seul me voit), Christophe Honoré (Ma Mère), Claude Chabrol (La Demoiselle d’honneur, L’Ivresse du Pouvoir), Pascal Bonitzer (Cherchez Hortense), Costa-Gavras (Capital), Matthieu Delaporte (Un illustre inconnu), Patrice Chéreau (La Reine Margot).A teatro ha interpretato alcuni ruoli sotto la direzione di diversi autori e registi teatrali, da Laurent Fréchuret (Caldéron, Le Roi Lear) à Daniel Mesguich (Le Diable et le Bon Dieu, Tête d’Or, Hamlet, Andromaque, Le Prince travesti) passando per Marc Paquien (La Mère, Le Baladin du Monde Occidental).Ha insegnato anche al CNSAD (Conservatoire National Superior d’Art Dramatique).
 Philippe-Duclos
Sei un attore polivalente, hai lavorato per cinema teatro e televisione.
Sì, ho fatto del teatro per una quindicina di anni e poi sono approdato al cinema abbastanza tardi, con un ruolo minore nel film La sentinelle di Desplechin. Ho interpretato diversi ruoli minori per altrettanti registi e poi ho cominciato a lavorare in Engrenages (Spiral in Italia), una serie su CanalPlus che va in onda da dieci anni ormai.
Potremmo dire che ho una doppia vita!
L’incontro con Desplechin e la partecipazione al suo film, La sentinelle, è avvenuto per caso?
Sì, proprio così. Conoscevo un regista di teatro con cui lavoravo e che stava facendo il casting per il film di Desplechin. È stato lui che mi ha presentato a Desplechin.
C’è una differenza, per te, tra un testo di teatro e uno script, dal punto di vista del lavoro dell’attore?
Sì, il testo teatrale è una materia sulla quale l’attore può appoggiarsi saldamente e di cui si nutre; mentre al cinema non si tratta di un testo ma di un dialogo che può, eventualmente cambiare, e di cui non ci si nutre ma l’attenzione è portata agli elementi della stilizzazione che, evidentemente, si trovano anche a teatro…
Quando preparo un testo per il cinema c’è un grande lavoro a monte, ho interesse a conoscere la mia parte mentre invece per il teatro, inizialmente, non ho nessuna idea di quella che sarà la mia interpretazione, a volte non conosco nemmeno interamente il mio testo, si tratta di un grande lavoro collettivo. Preparare un testo per il cinema, invece, è un lavoro solitario, che peraltro amo moltissimo, al di là del rapporto e degli scambi che si possono avere con lo sceneggiatore o il regista.
Quando ricevi una sceneggiatura, inizi a lavorarci direttamente o ci sono degli incontri preliminari finalizzati a dare delle indicazioni?
No, diciamo che quando ricevo un testo sono un lettore come gli altri, leggo la storia senza avere un punto di vista tecnico sulla sceneggiatura.
Se devi decidere di interpretare un ruolo che ti è stato proposto quali sono i requisiti che il testo deve avere per farti accettare?
Quello che è importante non è tanto il ruolo ma la materia da interpretare perché ciò che importante non è solo l’aspetto lucrativo ma la soddisfazione, ciò che si pensa di poter effettivamente apportare col proprio lavoro.
Poi c’è un altro elemento che è la personalità del regista.
Di cosa è fatta la materia dell’interpretazione?
Ciò che mi fa interpretare un ruolo è la situazione. Insomma, per me il personaggio è determinato dalla situazione. La situazione è un insieme di realtà fittizie che esercitano una pressione su qualcuno e l’obbligano a reagire, e sono queste situazioni che fanno emergere il personaggio. Un giorno Hitchcock ha domandato a Truffaut: «Perché i film di Renoir sono così mal fatti?» E Truffaut ha risposto: «Vedi, Hitchcock, voi lavorate in maniera differente: Renoir parte dai personaggi e dagli attori, sono questi che lo ispirano, mentre lei, Hitchcock, parte dalla situazione!»
Io non parto mai dai personaggi. Per esempio, per quel che concerne il ruolo che ricopro nella serie Spiral, il giudice di istruzione, la domanda che mi pongo non è quale sia la funzione di un giudice ma quali sono i suoi problemi, e quindi i casi giudiziari specifici che deve risolvere. Cerco di comprendere i dati della situazione, e da lì nascono delle azioni che costruiscono i personaggi. Spesso i dialoghi, le scene di esposizione si oppongono alla situazione, all’azione.
Io credo che sia importante verificare che i personaggi che si creano siano adatti alle situazioni nelle quali li si cala. E così si rinforzano mutualmente sia i personaggi che la storia. Non penso che ci sia una scuola da preferire ad un’altra ma che entrambi gli approcci siano importanti.
Ma tu stai parlando di una sceneggiatura che è in divenire, che si sta fabbricando. Io non sono sceneggiatore! Però penso di aver capito. Diciamo che, all’inizio, prendo l’esempio della serie, l’attore eredita la sceneggiatura ma, quando comincia a farla propria, apporta un colore al personaggio e questo elemento influisce sulla sceneggiatura e la modifica.
Ho un altro esempio concreto: per avere delle indicazioni sul ruolo del giudice Roban in Engranages (Spiral) mi sono rivolto ad un vero giudice di istruzione per sapere quale fosse il comportamento tipo di un giudice e lui ha risposto che dipende dagli individui… per me è stato molto liberatorio! Questo per dire che l’idea di un personaggio che si crea al di fuori di me e nel quale mi devo identificare non esiste. La costruzione del personaggio si fa poco a poco.
Infatti, quando si scrive una sceneggiatura, molti elementi che riguardano il personaggio rimangono invisibili, anche se hanno contribuito al risultato finale. Tu, in quanto attore, fai lo stesso tipo di lavoro, cioè indaghi, lavori sul personaggio, ne redigi un diario? Fai un lavoro di scrittura?
Sì sì, io scrivo moltissimo! Attraverso la scrittura cerco di comprendere il personaggio, anzi riscrivo un vero e proprio film sul personaggio ma impegnato in situazioni specifiche. In altre parole, creo un sottotesto che costituisce la vita del personaggio e che è il film immaginario che guida la mia interpretazione.
Giorno dopo giorno fabbrico il personaggio, e quindi tutto questo lavoro di scrittura mi rende molto vicino al lavoro dello sceneggiatore. Inoltre, su una serie molto lunga come quella su cui lavoro, ho bisogno di avere una consapevolezza molto chiara della progressione della storia e quindi anche per questo ho bisogno di scrivere molto. Ma ciò di cui parlo è vero per me, non si può estendere a tutti!
Al di là di tutto questo lavoro che tu fai, c’è qualcuno che ti dirige però!
Certo! Questo è il materiale di partenza su cui lavoro ma poi chiaramente c’è il regista, e gli altri partner. Naturalmente la direzione degli attori è fondamentale anche se dipende dal regista. All’inizio della mia carriera cinematografica sono stato fortunato e il lavoro è stato facile perché avevo Desplechin, che è talmente immaginativo e vicino all’attore! Invece, per quanto riguarda la serie Spiral, è stato più difficile perché il regista con cui lavoravo non era il creatore della serie e non aveva scelto gli attori. In questo secondo caso direi che il lavoro del regista si apparenta a quello di un grande tecnico!
Per la serie Spiral c’era qualcuno che si occupava della direzione artistica?
C’era un responsabile artistico, che era presente fin dall’elaborazione del soggetto fino alle riprese e quindi era lì durante tutte le tappe, ed era il guardiano dei personaggi e con lui dialogavo e gli ponevo delle domande precise sulle scene. Per esempio ponevo delle domande sulla situazione. Faccio un esempio. Mi è capitata una scena in cui una ragazza arriva per denunciare uno stupro. Bisogna sapere che la metà delle denunce per stupro sono false. E quindi il giudice di istruzione ha questo in testa ed è la ragione per la quale non ha dell’empatia con la presunta vittima ma ciò che gli interessa è la ricerca della verità. Questi sono elementi che non conoscevo. Eppoi alle volte alcune scene e dialoghi sono talmente ellittici che sono costretto a chiedere chiarimenti sul sottotesto. I dialoghi non sono sempre informativi, e non devono necessariamente esserlo, anche se purtroppo si tratta della maggioranza dei casi.
È un difetto francese.
È patetico. I dialoghi, alle volte, sono talmente poveri. Un giorno un cineasta mi ha rivelato che non riusciva a scrivere i dialoghi perché la situazione non era chiara. Quando un attore riceve un dialogo e questo è ‘giusto’, viene condotto, in maniera naturale, verso la buona interpretazione. Penso che alle volte i dialoghisti non facciano nemmeno lo sforzo di pronunciare a voce alta quello che scrivono. Spesso i dialoghi sono espositivi, informano lo spettatore su ciò che il personaggio sta vivendo. Per un attore essere obbligato a dire “sono in collera”, è una catastrofe.
I momenti di chiarimento con gli sceneggiatori si svolgono in maniera soddisfacente?
Dipende dagli sceneggiatori. Senza voler generalizzare, devo dire che il lavoro dell’attore è molto più vicino a quello dello sceneggiatore rispetto a quello del regista. Per entrambi la scrittura passa attraverso il loro corpo, la loro immaginazione. L’attore vive nella scrittura.
In che cosa consiste il contenuto delle pagine che scrivete sul personaggio? In questa sorta di diario scrivete anche della sua infanzia? O è circostanziato alle situazioni proposte nel film?
Dipende dai ruoli. In linea di massima immagino il personaggio a partire dalle situazioni che vive.
Prima delle riprese vere e proprie ci sono delle sedute preparatorie di lettura con gli autori, con lo sceneggiatore?
Per esempio, per la serie Spiral, abbiamo cominciato a fare questo genere di lavoro solo a partire dall’ultima stagione ed è stata una rivelazione. Gli sceneggiatori erano molto contenti di questo perché per loro è l’occasione di sentir parlare i loro testi. Quando gli attori si appropriano del testo apportano un colore, lo fanno vivere ed è commovente.