Episodio di Ten Minutes Older: The Trumpet
Regia: Jim Jarmusch; soggetto e sceneggiatura: Jim Jarmusch; fotografia: Frederick Elmes; costumi: John A. Dunn; montaggio: Jay Rabinowitz; musica: Paul Englishby: interpreti: Chloë Sevigny; produzione: Ulrich Felsberg e Stacey Ellen Smith; origine: Gran Bretagna/Spagna/Germania/Finlandia/Olanda/Cina; durata: 10’
Breve sinossi: Un’attrice si prende una pausa dal lavoro sul set. Raggiunge la propria roulotte, si stende su un divano, leva le scarpe strette per distendere i piedi intorpiditi e accende una sigaretta. Le sono concessi solo dieci minuti. Nel mentre riceve una telefonata dal proprio compagno ma il desiderio di intimità è sempre frustrato dai mestieranti che si avvicendano nella roulotte per curarle trucco e capigliatura, sistemare i microfoni che le sono stati applicati sul corpo o per servirle la cena. Docilmente, si presta alle richieste di ciascuno. Conclusa la pausa, esce dal trailer lasciando dietro di sé le note delle Variazioni Goldberg di Bach, che saturano lo spazio di una solitudine malinconica.
Ten Minutes Older è un progetto cinematografico del 2002 diviso in due parti intitolate The Trumpet e The Cello. Il progetto prevedeva una serie di cortometraggi che avessero come tema centrale il “Tempo”. I cortometraggi sono stati girati da quindici registi famosi. Ognuno di loro ha sintetizzato in pochi minuti la propria visione del tempo attraverso l’arte cinematografica. Il progetto è un omaggio ad un cortometraggio di Herz Frank girato in Russia nel 1978, dall’omonimo titolo Ten minutes older.
Int. Trailer Night, il cortometraggio firmato da Jarmusch, avrebbe potuto essere girato anche senza battute di dialogo: la potenza cinematografica e la poetica di Jarmusch emergono da ogni singola inquadratura. Jarmusch si avvale di rarefatti movimenti di macchina per creare un linguaggio al tempo stesso onirico e realista, ovvero surrealista, per condensare il concetto in una parola che gli è certo congeniale.
Minimalismo, essenzialità e pulizia visiva sono mezzi attraverso i quali egli si serve per filmare una realtà netta eppure traboccante di significati altri, spesso irresistibilmente ironica e insieme trasognata e malinconica, dai contorni affilati e definiti favoriti dall’uso del bianco e nero: «adoro il bianco e nero, trovo che sia un modo per dare allo spettatore meno informazioni inutili: il mio fine è quello di dare un’informazione essenziale» (1).
Int. Trailer Night è un film che riflette sul tempo cinematografico offrendoci un gioco di scatole cinesi. Chloë Sevigny è la protagonista di un film in corso di lavorazione. Si prende una pausa e si reca nella sua roulotte per concedersi un break di 10 minuti e ritagliare un suo tempo intimo: accende una sigaretta e riceve una telefonata dal fidanzato. Il suo desiderio di intimità è vanificato dalle continue intromissioni dei lavoranti della troupe e così la roulotte, come una zucca incantata, diviene il luogo di un altro film, il trailer della sua vita, fatto di piccoli sketch sapientemente orchestrati.
Il film è un saggio in miniatura del cinema di Jarmusch sotto diversi aspetti.
Innanzitutto per l’immancabile rito della sigaretta che induce alla rilassatezza e all’ozio e le cui volute di fumo, traccianti nell’aria arabeschi effimeri, preludono ai successivi accadimenti, apparentemente insignificanti e irrisori.
Ai tempi e ai luoghi della pregnanza e dello spettacolo Jarmush privilegia i momenti off, le pause, i cosiddetti momenti morti o quelli che il regista definisce «moments in between» (2). Tali aporie temporali diventano, nel cinema jarmuschiano dell’interstizio, i luoghi della chance, le occasioni per impercettibili détournements, pieghe, increspature della realtà che ne denunciano anche l’intrinseca tragicità. La violenza morbida cui è soggetta Chloë Sevigny, “importunata” dalle varie maestranze che compongono la troupe, non è scevra di un’ironia che, in un baleno, scivola nell’abiezione. Si pensi alla scena che vede il tecnico del suono insinuare le proprie mani sotto il vestito dell’attrice, all’altezza del sedere e del seno, e sotto gli occhi imperterriti di un’altra inserviente, mentre l’attrice conversa con il fidanzato nel proprio rifugio. La scena, surreale, si tinge di malinconia grazie alle note del Bach delle Variazioni Goldberg.
La musica, nei film di Jarmusch, si lega strettamente alle azioni dei personaggi, non è mai semplice accompagnamento (3) e, nella fattispecie, ha la funzione di qualificare ed amplificare lo stato d’animo dell’attrice, un po’ mesta, un po’ annoiata; e ciò avviene sempre in sordina, senza clamore, con l’aspetto e i risvolti, non di una ferita aperta, ma di una emorragia interna.
Int. Trailer. Night è infine costruito per avvenimenti non necessariamente correlati gli uni agli altri. In diversi film del regista newyorkese il viaggio dell’eroe non conosce apparentemente un vero e proprio sviluppo ma egli rivive lo stesso genere di situazione, magari da un’angolazione di poco differente. Si potrebbe dire che torna sempre non proprio al punto di partenza, ma poco più in là. Basti pensare ai road movies jarmuschiani come Permanent Vacation (1980), Stranger than Paradise (1984), ma anche il più recente Broken Flowers (2005). Il protagonista è un flâneur ciondolante che avanza, nell’incedere incerto del proprio passo, come sospinto da forza di inerzia, spesso torna senza scampo al punto di partenza per poi, finalmente e insospettatamente, imboccare una strada che niente aveva fatto presagire. Sta di fatto che una qualche trasformazione avviene ma non è possibile coglierne l’origine causale perché ogni cosa si attesta sul “piano di immanenza”, non consentendo semplici decifrazioni della realtà ma risolvendosi semmai in un sempre rinnovato effetto di stupore, impalpabile e indecifrabile, evanescente, dissolventesi nell’aria come fumo di sigaretta.
di Rebecca Amanda Snyder